Nella mente del Re: Jeremy McGrath
- Lorenzo Salsi

- 5 set
- Tempo di lettura: 3 min
McGrath non correva contro un nome o contro avversari: correva contro se stesso e contro la pista. Meno pensieri, più concentrazione. E così il Re è divenuto tale

Nel podcast @titletwofour, gestito in simultanea da Carmichael e Villopoto, è stato recentemente ospitato Jeremy McGrath, pluricampione di Supercross e National che ha lasciato uno spunto interessante nel mezzo del discorso.
Parlando di Jeff Emig, JMC ammette: “A volte il suo modo di correre mi toglieva il sonno”. La rivalità c’era, pesante, vera, personale. Ma poi arriva la sterzata che fa scuola: “Ma non ho mai corso contro un pilota. Correvo contro me stesso e contro la pista. Sapevo che se mi fossi concentrato su queste due cose il resto sarebbe arrivato da sé”.

Questa frase sposta l’asse della performance, porta un metodo. Riduci le variabili che non controlli (gli altri) e sei iper focalizzato su quelle che controlli (te stesso e il tracciato). È minimalismo agonistico.
Nel Supercross la pista cambia ad ogni giro: whoops che si scavano, sezioni ritmiche che si canalano, traiettorie che si chiudono. Se sposti l’attenzione su come la pista si sta trasformando e su come TU ti stai trasformando in quella pista, tagli via la tossina più pericolosa che è l’ossessione dell’avversario.

McGrath dice, in sostanza: “Non me ne fregava di cosa facevano gli altri. Volevo essere il migliore possibile in pista” Non è indifferenza, è pulizia mentale. Meno energia spesa a leggere i comportamenti degli altri, più energia nel leggere il terreno, le rampe, i riferimenti.
“Ho sempre cercato di considerarmi l’underdog (pilota sfavorito, che nel contesto diventa outsider). Non importava quante gare stessi vincendo: così mantenevo la fame”.
Al contrario della narrativa comune che dice, quando vinci, proteggi il vantaggio, McGrath cercava di rovesciarla mentalmente: quando vinci, simula di essere ancora all’inseguimento.

È una maschera cognitiva che tiene alta la voglia di vittoria e bassa l’ansia da prestazione, infatti l’underdog ha due privilegi, può osare e può imparare in pubblico senza vergogna.
Inutile negare che per rimanere lucidi e dirottare i pensieri su questo tipo di via occorre una fermezza e forza mentale unica nel suo genere, considerando anche che il motocross, e a maggior ragione il supercross, sono sport dal livello emotivo elevatissimo!
In definitiva l’underdog sperimenta, il favorito tende a congelarsi.
“Certo, ci sono piloti che avevo in testa, ma cercavo di non pensarci troppo.”
Non è negazione della realtà: è editing. Come un montatore taglia le pause che rallentano il video, il campione taglia i pensieri che rallentano l’azione. JMC ci insegna che allenare la mente è sottrarre distrazioni.

McGrath è il Re del Supercross per risultati, certo, ma qui la lezione è diversa: la leadership non è dominare gli altri, è governare il proprio stato. Quando smetti di sentire la pressione dei nomi e inizi a rendere la tua guida perfetta, il rendimento aumenta.
Arrivare alla consapevolezza di dire che un avversario “ti toglie il sonno” è già qualcosa di speciale. Il trucco infatti non è fare finta che non esista: è riconoscere il contrasto e indirizzare l’energia dove produce miglioramenti di tempo sul giro. McGrath non nega Emig; lo de‑prioritizza. E in quel vuoto di rumore, fa spazio alla concentrazione e al tracciato.
“Cerco di non preoccuparmi di cosa pensano gli altri… cercavo di non pensarci troppo”.
È l’arte di lasciare andare. Spietata, sì. E tremendamente efficace. È così che si diventa il Re.












